Palazzo Barolo
– Torino - Dal 18 SETTEMBRE al 9 OTTOBRE 2016 TRAMARE. Di
filo in segno e di luogo in logo. A cura di
Alessia Panfili e Tea Taramino
Giustino Caposciutti
� una persona gentile dallo sguardo intelligente e profondo, i cui occhi
sembrano sempre alla ricerca di elementi di grazia e bellezza nel mondo
circostante. Vi � qualcosa
di delicato nel suo sguardo e nel modo in cui muove le mani, come se fosse
sempre in ascolto, pronto a ricevere dagli altri e dall’ambiente dei segnali,
delle sollecitazioni, al fine di elaborarli e trasformarli in “doni” per coloro
che a lui si rivolgono. La gentilezza,
la delicatezza, l’ascolto sono infatti i tratti specifici, sia di quest’uomo
umile e gentile, di questo artista che si rispecchia nelle sue opere almeno
quanto esse si rispecchiano in lui, sia delle sue opere dalla cifra stilistica
ormai estremamente riconosciuta e riconoscibile. Caposciutti �
infatti divenuto famoso negli anni per i suoi quadri e le sue performance,
sviluppati all’insegna dell’arte relazionale e partecipata: opere capaci di
mettere assieme la textile art con la relazione umana, la marginalit� con lo
spirito di comunit�, il rigore geometrico e analitico con il colore e le
emozioni dei fruitori chiamati ad essere co-autori delle opere stesse.
Caposciutti � un educatore e un artista ormai noto a livello nazionale e
internazionale, che ha alle spalle decine di mostre personali e centinaia di
collettive, sulla cui poetica hanno scritto critici importanti come Martina
Corgnati, Giovanni Cordero, Francesco Lodola, Angelo Mistrangelo, Paolo Levi,
Dino Pasquali… Ma di ci�
l’artista sembra quasi non accorgersi, pi� attento alle pratiche relazionali
che alla gloria personale. Senza dubbio alcuno, gentilezza e delicatezza si
presentano come tratto peculiare dell’atteggiamento umano e artistico di
quest’uomo, che con umilt� sembra essere sempre poco conscio della forza
innovativa della sua pratica artistica dai forti risvolti comunitari e sociali,
caratterizzata da un’attitudine alla relazione e all’ascolto. Si deve
infatti a Giustino e alla feconda collaborazione con la sua amica e collega Tea
Taramino, curatrice di questa rassegna, se in Italia � approdata una forma di
Arte Partecipata e Relazionale di estrema qualit�, valore e profondit�, che �
stata capace di generare esperienze di sicura rilevanza internazionale come
“Arte plurale”. La presenza
delle opere di Caposciutti (performance e quadri) in questa rassegna
rappresentano, pertanto, un meritato tributo alla storia dell’artista e allo
stesso tempo il riconoscimento che: senza “FiloArx”, il
confronto/collaborazione con Taramino e la disponibilit� di istituzioni
pubbliche e private torinesi, molte delle pi� interessanti esperienze di
valorizzazione dell’Arte Irregolare in Italia non sarebbero nate in questa
citt�, non si sarebbero sviluppate e diffuse e non sarebbero sopravvissute
ancor oggi come eccellenze di primo piano a livello internazionale, mantenendo
il loro profondo radicamento nel territorio. Nel 1993 a
Torino l’incontro tra l’artista e un gallerista come Gianfranco Billotti,
dell’allora “Galleria Arx”, e le istituzioni gett� il seme per la nascita di un
nucleo di iniziative e sperimentazioni, che velocemente diedero forma a una
presenza peculiare dell’arte “partecipata” e “partecipativa” in Italia. Non si tratt� in questo caso, infatti, di dare
voce unicamente alla potenza creativa dei fruitori chiamati a diventare
co-autori delle opere, come in molte altre esperienze di Partecipatory Art, ma
grazie all’incontro artistico con Taramino di sollecitare una vera integrazione
tra arte, pubblico e artisti con disabilit�, andando oltre l’Outsider Art,
l’Art Brut… in direzione della valorizzazione relazionale e partecipata di
forme di Arte Irregolare, in modo da mettere in discussione le stesse categorie
di “normalit�” e “anormalit�”. Tutto ci� fu
perseguito tentando di colmare il gap fra la gente comune e l’arte
contemporanea, avviando processi relazionali e di partecipazione in situazioni
orizzontali e non gerarchiche, portando a rappresentazione stati d’animo e
sentimenti individuali e comunitari, facendo dell’integrazione e della
solidariet� gli elementi unificanti delle “diversit�” presenti nel territorio,
al fine di fare emergere le sacche di emarginazione rimosse e catalogate come
“periferiche” rispetto alle narrazioni dominanti. Tutto ci� all’insegna di una
ricerca di grazia e bellezza, intesa come fonte di benessere e dignit� anche
per coloro che con s� portano profonde disabilit� cognitive e fisiche.
I suo grandi quadri quadrati, tessuti con i
fili colorati e firmati da ogni persona che con lui entra in relazione, sono
diventati cos� uno degli elementi pi� diffusi nel panorama dell’arte
partecipata internazionale, dando vita a delle “fotografie tessili” di un
determinato spazio tempo, in cui una comunit� di dimensioni variabili agisce
per creare un’opera. Se il risvolto
“relazionale” di questa pratica pare evidente, iscrivendosi a tutti gli effetti
in una modalit� di valorizzazione della parte emozionale e spirituale delle
differenze umane, che compongono le comunit� locali e gli aggregati umani; dal
punto di vista stilistico e linguistico, la sua poetica si caratterizza invece
per un rigore strutturale dai tratti geometrici, che deve molto alle influenze
di una certa “pittura analitica” contemporanea. Dalla “linea
analitica” presente nell’arte tardo novecentesca Caposciutti mutua, infatti,
l’attenzione per gli elementi primi della pittura (la tela, il telaio, il
colore, la cornice…) che diventano in questo modo l’oggetto stesso del
dipingere. In questo modo i fili di tela di juta grezza diventano elementi
stessi della composizione pittorica, attraverso un lavoro di de-tessitura e
ri-tessitura del supporto, il quale dopo essere stato elaborato e manipolato -
attraverso il gesto (singolo e collettivo), il colore e il segno (la firma) -
d� vita a opere relazionali e partecipate rispettose delle regole formali del
dipingere e delle geometrie esistenziali e strutturali dell’opera e della
realt� sociale. I suoi quadri,
inoltre, pagano un debito esplicito allo “spazialismo”, attraverso un processo
di sottrazione della materia (la tela), che nel processo di de-tessitura e
ri-tessitura dei fili manipolati dai fruitori/co-autori creano spazi, forme,
pieni e vuoti, trasparenze che interagiscono con l’ambiente, la luce e il muro
dando luogo ad artefatti in continua trasformazione. In media ogni opera
sfrutta l’apporto di centinaia di esistenze singole, che assumono cos� valore
autoriale, attraverso la manipolazione dei fili per la tessitura, come si pu�
ben vedere nel quadro di 1,50x1,50m presente in mostra, realizzato con il
supporto di mille persone per la prima edizione di “Artissima” nel 1994. La dimensione relazionale e partecipata
insieme alla ricerca sulla materia e sui linguaggi, cos� ben sintetizzata nei
quadri, diventa per� esplicita nell’attivit� performativa dell’artista come si
pu� vedere nel video-restituzione della performance “TESSEREXESSERE-ILRISCATTO”
del 2012, realizzata in dialogo polemico con Gino De Dominicis nel
quarantennale dell’opera “Seconda soluzione di immortalit�”, presentata alla
XXVI Biennale di Venezia del 1972. Se De
Dominicis mise in mostra un ragazzo down (Paolo Rosa) immobile nel guardare
alcuni oggetti posizionati nella sala, Caposciutti costruisce invece un “Telaio
Vivente”, formato da una decina di persone con disabilit� dirette da un artista
down, che con il loro movimento sincrono e armonioso “tessono” l’artista
all’interno di un’opera performativa che materializza una proiezione
tridimensionale e vivente dei suoi quadri. In questo modo, si realizza un
ribaltamento completo e polemico grazie al quale “l’oggetto performato” (il
disagio psico-fisico, la disabilit�, la marginalit�…) diventa “soggetto
performante”, facendosi artista collettivo capace di “tessere” il naturale
artefice del manufatto artistico (l’artista normodotato). Insomma, senza dubbio
alcuno si pu� affermare che il valore artistico di Caposciutti sia ormai
acclarato e che lui sia diventato negli anni un punto di riferimento per l’arte
partecipata a livello nazionale e internazionale, e che senza l’incontro
fecondo tra lui e Tea Taramino la Participatory Art italiana non avrebbe
maturato quell’attenzione all’inclusione della diversit�, trasformandosi in
un’Arte Plurale e relazionale unica nel suo genere e andando ben oltre le
retoriche obsolete dell’Art Brut e dell’Outsider Art. Bisogna
inoltre riconoscere che solo un artista gentile e delicato come Caposciutti
poteva recuperare l’attenzione per le cose minute e le pratiche della Textile
Art per destrutturare i supporti e i componenti della pittura, al fine di
tessere e ri-tessere in modo partecipato e inclusivo esistenze singole e
associate, restituendo immagini di comunit� solidali in uno spazio e in un
tempo determinato. Universit� degli Studi di Torino Roberto Mastroianni � filosofo, curatore e critico d’arte, ricercatore esterno di semiotica, estetica filosofica e filosofia del linguaggio presso il C.I.RC.e- Centro Interdipartimentale Ricerche sulla Comunicazione e la Unesco Chair in Sviluppo sostenibile e management territoriale dell’Universit� degli Studi di Torino. Laureato in Filosofia Teoretica, sotto la supervisione di Gianni Vattimo e Roberto Salizzoni, � dottore di Ricerca in Scienze e Progetto della Comunicazione, sotto la supervisione di Ugo Volli. Si occupa di Filosofia del Linguaggio, Estetica filosofica, Teoria generale della Politica, Antropologia, Semiotica, Comunicazione, Arte e Critica filosofica. Ha curato libri di teoria della politica, scritto saggi di filosofia e arte contemporanea e curato diverse esposizioni museali. Ha tenuto seminari in differenti Universit� italiane e straniere. (www.robertomastroianni.net |
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